Differenze Nord Sud del Mondo
Alcuni dati della questione
Una questione che definisce anche noi
Cooperazione internazionale
Alcuni dati della questione
Una questione che definisce anche noi
Cooperazione internazionale
Questione migratoria
Non solo Mediterraneo ma anche migrazioni interne all’Africa, dall’Afghanistan (vergognosamente abbandonato dall’Occidente)
Diritto al cibo, progetto Fame Zero
distinzione tra migranti economici e rifugiati politici. E’ così sbagliato cercare un futuro economicamente migliore?
attrezzarsi per accogliere
No Vax
Staminali
Terrapiattismo
Non siamo andati sulla Luna
Terra Cava
Poche ore dopo la notizia dell’assassinio di Martin Luther Kingil 4 aprile 1963 una grande folla si era radunata a Indianapolis. Un grande senso di rabbia e di frustrazione si era diffuso e la polizia informò Robert Kennedy di non essere in grado di proteggerlo qualora fossero esplose proteste e tumulti, cosa che appariva la più probabile. Il discorso, improvvisato, è considerato una delle più grandi testimonianze sul tema della pace.
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Oggi sono felice di essere con voi in quella che nella storia sarà ricordata come la più grande manifestazione per la libertà nella storia del nostro Paese.
Si trattava di una legge epocale, che accese un grande faro di speranza per milioni di schiavi neri, marchiati dal fuoco di una bruciante ingiustizia. Il proclama giunse come un’aurora di gioia, che metteva fine alla lunga notte della loro cattività.
Sono passati cento anni, e la vita dei neri è ancora paralizzata dalle pastoie della segregazione e dalle catene della discriminazione.
Sono passati cento anni, e i neri vivono in un’isola solitaria di povertà, in mezzo a un immenso oceano di benessere materiale. Sono passati cento anni, e i neri ancora languiscono negli angoli della società americana, si ritrovano esuli nella propria terra. Quindi oggi siamo venuti qui per tratteggiare a tinte forti una situazione vergognosa. In un certo senso, siamo venuti nella capitale del nostro paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della nostra repubblica hanno scritto le magnifiche parole della Costituzione e della Dichiarazione d’indipendenza, hanno firmato un “pagherò” di cui ciascun americano era destinato a ereditare la titolarità. Il “pagherò” conteneva la promessa che a tutti gli uomini, sì, ai neri come ai bianchi, sarebbero stati garantiti questi diritti inalienabili: “Vita, libertà e ricerca della felicità”.
Oggi appare evidente che per quanto riguarda i cittadini americani di colore, l’America ha mancato di onorare il suo impegno debitorio. Invece di adempiere a questo sacro dovere, l’America ha dato al popolo nero un assegno a vuoto, un assegno che é tornato indietro, con la scritta “copertura insufficiente”.
Ci rifiutiamo di credere che nei grandi caveau di opportunità di questo paese non vi siano fondi sufficienti. E quindi siamo venuti a incassarlo, questo assegno, l’assegno che offre, a chi le richiede, la ricchezza della libertà e la garanzia della giustizia. Siamo venuti in questo luogo consacrato anche per ricordare all’America l’infuocata urgenza dell’oggi. Quest’ora non è fatta per abbandonarsi al lusso di prendersela calma o di assumere la droga tranquillante del gradualismo.
Se la nazione non cogliesse l’urgenza del presente, le conseguenze sarebbero funeste.
L’afosa estate della legittima insoddisfazione dei negri non finirà finché non saremo entrati nel frizzante autunno della libertà e dell’uguaglianza. Il 1963 non è una fine, è un principio. Se la nazione tornerà all’ordinaria amministrazione come se niente fosse accaduto, chi sperava che i neri avessero solo bisogno di sfogarsi un pò e poi se ne sarebbero rimasti tranquilli rischia di avere una brutta sorpresa. In America non ci sarà né riposo né pace finché i neri non vedranno garantiti i loro diritti di cittadinanza. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione finché non spunterà il giorno luminoso della giustizia. Ma c’è qualcosa che devo dire al mio popolo, fermo su una soglia rischiosa, alle porte del palazzo della giustizia: durante il processo che ci porterà a ottenere il posto che ci spetta di diritto, non dobbiamo commettere torti. Non cerchiamo di placare la sete di libertà bevendo alla coppa del rancore e dell’odio. Dobbiamo sempre condurre la nostra lotta su un piano elevato di dignità e disciplina. Non dobbiamo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica.
Sempre, e ancora e ancora, dobbiamo innalzarci fino alle vette maestose in cui la forza fisica s’incontra con la forza dell’anima. Il nuovo e meraviglioso clima di combattività di cui oggi è impregnata l’intera comunità nera non deve indurci a diffidare di tutti i bianchi, perché molti nostri fratelli bianchi, come attesta oggi la loro presenza qui, hanno capito che il loro destino è legato al nostro.
Hanno capito che la loro libertà si lega con un nodo inestricabile alla nostra. Non possiamo camminare da soli. E mentre camminiamo, dobbiamo impegnarci con un giuramento: di proseguire sempre avanti. Non possiamo voltarci indietro. C’è chi domanda ai seguaci dei diritti civili: “Quando sarete soddisfatti?”. Non potremo mai essere soddisfatti, finché i neri continueranno a subire gli indescrivibili orrori della brutalità poliziesca. Non potremo mai essere soddisfatti, finché non riusciremo a trovare alloggio nei motel delle autostrade e negli alberghi delle città, per dare riposo al nostro corpo affaticato dal viaggio.
Non potremo mai essere soddisfatti, finché tutta la facoltà di movimento dei neri resterà limitata alla possibilità di trasferirsi da un piccolo ghetto a uno più grande. Non potremo mai essere soddisfatti, finché i nostri figli continueranno a essere spogliati dell’identità e derubati della dignità dai cartelli su cui sta scritto “Riservato ai bianchi”. Non potremo mai essere soddisfatti, finché i neri del Mississippi non potranno votare e i neri di New York crederanno di non avere niente per cui votare.
Io non dimentico che alcuni fra voi sono venuti qui dopo grandi prove e tribolazioni. Alcuni di voi hanno lasciato da poco anguste celle di prigione. Alcuni di voi sono venuti da zone dove ricercando la libertà sono stati colpiti dalle tempeste della persecuzione e travolti dai venti della brutalità poliziesca. Siete i reduci della sofferenza creativa. Continuate il vostro lavoro, nella fede che la sofferenza immeritata ha per frutto la redenzione. Tornate nel Mississippi, tornate nell’Alabama, tornate nella Carolina del Sud, tornate in Georgia, tornate in Louisiana, tornate alle baraccopoli e ai ghetti delle nostre città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare e cambierà. Non indugiamo nella valle della disperazione.
E un sogno che ha radici profonde nel sogno americano.
Ho un sogno, che un giorno questa nazione sorgerà e vivrà il significato vero del suo credo: noi riteniamo queste verità evidenti di per sé, che tutti gli uomini sono creati uguali. Ho un sogno, che un giorno sulle rosse montagne della Georgia i figli degli ex schiavi e i figli degli ex padroni di schiavi potranno sedersi insieme alla tavola della fraternità.
Ho un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, dove si patisce il caldo afoso dell’ingiustizia, il caldo afoso dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e di giustizia. Ho un sogno, che i miei quattro bambini un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per l’essenza della loro personalità. Oggi ho un sogno.
Ho un sogno, che un giorno, laggiù nell’Alabama, dove i razzisti sono più che mai accaniti, dove il governatore non parla d’altro che di potere di compromesso interlocutorio e di nullification delle leggi federali, un giorno, proprio là nell’Alabama, i bambini neri e le bambine nere potranno prendere per mano bambini bianchi e bambine bianche, come fratelli e sorelle.
Ho un sogno, che un giorno ogni valle sarà innalzata, ogni monte e ogni collina saranno abbassati, i luoghi scoscesi diventeranno piani, e i luoghi tortuosi diventeranno diritti, e la gloria del Signore sarà rivelata, e tutte le creature la vedranno insieme.
Questa è la fede che porterò con me tornando nel Sud. Con questa fede potremo cavare dalla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede potremo trasformare le stridenti discordanze della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fraternità.
Quel giorno verrà, quel giorno verrà quando tutti i figli di Dio potranno cantare con un significato nuovo:
E se l’America vuol essere una grande nazione, bisogna che questo diventi vero. E dunque, che la libertà riecheggi dalle straordinarie colline del New Hampshire. Che la libertà riecheggi dalle possenti montagne di New York.
Che la libertà riecheggi dagli elevati Allegheny della Pennsylvania.
Che la libertà riecheggi dalle innevate Montagne Rocciose del Colorado.
Che la libertà riecheggi dai pendii sinuosi della California. Ma non soltanto.
Che la libertà riecheggi dalla Stone Mountain della Georgia.
Che la libertà riecheggi dalla Lookout Mountain del Tennessee.
Che la libertà riecheggi da ogni collina e da ogni formicaio del Mississippi, da ogni vetta, che riecheggi la libertà.
E quando questo avverrà, quando faremo riecheggiare la libertà, quando la lasceremo riecheggiare da ogni villaggio e da ogni Paese, da ogni stato e da ogni città, saremo riusciti ad avvicinare quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, protestanti e cattolici, potranno prendersi per mano e cantare le parole dell’antico inno: “Liberi finalmente, liberi finalmente. Grazie a Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente”.
I have a Dream è un discorso pubblico pronunciato durante la March on Washington for Jobs and Freedom al Lincoln Memorial il 28 agosto 1963. Un discorso celeberrimo in occasione dei cento dal Proclama di emancipazione dei neri con il quale Abramo Lincoln aveva abolito la schiavitù negli Stati Uniti.
Sono trascorsi altri 50 e passa anni ma non c’è ancora parità di diritti, né piena libertà, né piena uguaglianza, né finer dei pregiudizi e del razzismo e le parole di Martin Luther King non hanno ancora perso nulla della loro straordinaria attualità e forza.
Il viaggio è iniziato. Si è aperta la strada. Con le sue fatiche, le sue incertezze, i suoi splendori. Abbiamo lasciato alcune comodità, alcune sicurezze decisi a cercare gli uomini là dove essi vivono, lavorano, lottano, sperano. La strada porta inevitabilmente verso altri uomini: essa è infatti una via di comunicazione e presuppone qualcuno con cui comunicare. Persone da incontrare, novità da scoprire. Lingue, usanze da imparare. Punti di vista da confrontare. Contraddizioni e conflitti da superare. I luoghi di queste complessità sono le città. La strada, dunque, anche se a tratti può attraversare valli deserte o creste solitarie, ha come meta ultima quella di ricongiungerci ad altri uomini, in altre parole di condurci a una città. La città è, in definitiva, il luogo dove siamo chiamati a confrontarci, a maturare e misurare le nostre decisioni, la nostra capacità di essere persone che fanno scelte importanti e significative. La città è la protagonista di que- sto capitolo. Non necessariamente questa o quella città poiché essa è anche un simbolo o una metafora di un discorso più complesso. Possiamo dire, usando una bella espressione di Italo Calvino, che esistono città invisibili: luoghi della fantasia a cui attribuiamo caratteristiche fantastiche per parlare di problemi concreti. Le città però hanno dei nomi (anche le città invisibili di Calvino che avevano nomi bellissimi e poetici, come Moriana, Smeraldina o Venezia). Ecco perché anche in questo capitolo cercheremo di parlare, nel descrivere alcune città, di problemi che riguardano il nostro tempo e delle scelte che rispetto ad essi siamo chiamati, come uomini e donne sulla strada della Partenza, ad affrontare.
Il 26 gennaio 1961 John Fitzgerald Kennedy prestò giuramento come 35° Presidente degli Stati Uniti d’America. Il suo discorso è rimasto nella storia come uno dei più limpidi e appassionati appelli ad esercitare una piena cittadinanza. E’ veramente cittadino non chi attende dagli altri o dallo Stato qualcosa ma chi è pronto a costruire insieme agli altri la città.
“Coloro che rendono impossibile la rivoluzione pacifica rendono inevitabile la rivoluzione violenta”.
JFK
Text content
Alcune teorie politiche e sociali che ambivano di poter governare e risolvere in modo definitivo i problemi e le contraddizioni della storia umana con una rigida pianificazione dell’economia e dei processi produttivi non hanno dato i risultati che i loro promotori speravano (anzi che davano per ineluttabili) e le gigantesche sofferenze sociali ed umane che tali progetti hanno comportato hanno ben giustificato la foga con la quale, nel 1989, i berlinesi hanno abbattuto il muro.
Quel muro era il simbolo di una razionalità spietata che diventava ferocia e disumanità e nel dargli un colpo di piccone tutti noi ci siamo sentiti orgogliosi e consapevoli del significato della famosa frase di John Kennedy “Ich bin Berliner” (io sono un berlinese)(). Abbattere quel muro, essere dunque berlinesi ha significato per molti affermare in qualche modo la volontà di abbattere tutti i muri di odio nel mondo ().
Il nostro tempo è però caratterizzato anche da fallimenti, da promesse mancate della scienza e della tecnologia (lo Shuttle che esplode, l’incapacità di curare vecchie e nuove malattie) crisi economiche che gettano senza preavviso nella miseria intere popolazioni.
Dietro ragionamenti apparentemente lucidi si nasconde spesso qualche follia (il terrorismo, ad esempio). Sempre più spesso si possono ascoltare persone apparentemente di buon senso che con ricche e dotte argomentazioni vi spiegano che per risolvere i problemi della vita l’unica soluzione è …..la morte ().
E’ stato detto che il sonno della ragione genera mostri. Ma anche la ragione senza sentimenti, amicizia, affetti, solidarietà, comprensione, tolleranza può diventare disumana. Non a caso la ghigliottina non ha mai lavorato tanto come nell’epoca dei lumi.
Ma se la razionalità pura (quella con la “R” maiuscola, assoluta, scientifica, inflessibile, inflessibilmente programmatice, che non vede né uomo né Dio al di fuori di se stessa), il Pensiero Unico, la Dea Ragione, portano alle visioni rigidamente ideologiche, alle teorie disumanizzanti, alle pratiche dei campi di concentramento, ai ghetti di Soweto nei pressi Johannesburg, in altre parole alla catastrofe della torre () non per questo dobbiamo rassegnarci alla mancanza di ragionevolezza nel nostro agire.
La capacità di riflettere, di dubitare, di mettere in discussione le cose che abbiamo imparato, in altre parole la capacità di ragionare sono un patrimonio e un valore che ciascuno porta con sé e che ci differenziano da qualunque altro animale. Descartes ha affermato “Cogito ergo sum” (penso dunque sono) affermazione piuttosto radicale ma che mi sentirei di sottoscrivere se essa significasse anche: “poiché sono un uomo, sono in grado (devo, ho la responsabilità ) di ragionare”.
Guardiamo quindi al mondo con curiosità critica, con simpatia, desiderosi di comprendere ma non di farci incantare, con la libertà interiore di chi sa farsi stupire ma non intende lasciarsi ipnotizzare.
Non sono stati solo i sistemi totalitari caduti col muro di Berlino a cercare di imbrigliare il cuore e le menti delle persone e delle generazioni più giovani in particolare. Il rischio è immanente in tutti i sistemi, anche quelli formalmente più democratici e liberali. Infatti le relazioni di potere sono spesso invisibili, sono costruite sul senso di colpa che spesso viene spacciato per senso del dovere. I sistemi educativi, in particolare, sono stati spesso lo strumento attraverso i quali si è cercato di uniformare il modo di pensare e di agire delle persone rendendoli null’altro che another brick in the wall, un altro mattone nel muro…
Dobbiamo ringraziare i Pink Floyd per una magnifica canzone e un video che valgono sull’argomento più di mille parole.