Quarta Traccia 

Le qualità dell’uomo

Ciò che solo m’ importa

Semplifico: tutto ciò che mi importa di sapere, in definitiva, è solo se sono coraggioso. Dopo le parole, i ragionamenti, l’autocoscienza, la meditazione trascendentale, gli alibi e i pretesti ciò che mi rivelerà, ciò che dirà chi sono (un pavido o un audace?) sarà l’azione.

Ciò che solo m’importa

La filosofia, la scienza, il diritto, l’etica, la letteratura sono amici, talvolta fin troppo zelanti, che ci accompagnano per strada, che ci parlano, ci sussurrano, ci incoraggiano – appoggiati sul loro bastone di vecchi – ad avanzare o ad essere prudenti. Quanti bei consigli! Avranno ragione? Avranno torto? A volte vorrei che parlassero con parole più chiare e con voce più forte. Quanti giochi di parole, distinzioni sottili, messaggi oscuri per gente iniziata. Ma la verità, la verità nel suo splendore, questo sole di mezzogiorno, ebbene la verità è solo l’azione che la grida. A gambe larghe, in mezzo alla piazza, ridendo e spingendo, ruggendo e smanacciando, come se non ci fosse altro che lei, come se non ci fossero altre ragioni. Ed infatti altre ragioni non ci sono. L’uomo si rivela nell’azione. Poco importa che vinca o che perda. Il successo o l’insuccesso sono fatti contingenti, a volte fortuiti, che non rivelano fino in fondo la natura di un uomo. Quello che conta (la perseveranza, la generosità, il disinteresse, la curiosità, l’immaginazione, l’abilità, la decisione…) sono qualità che possono appartenere allo sconfitto come al vittorioso.

Germogli

Domanda prima: che cosa è che “fa” l’uomo, che decide nella sua esistenza, che ne fa un santo o un assassino, un burocrate o un esploratore?

Fratelli gemelli, formatisi nelle stesse viscere, nutriti allo stesso seno, cresciuti con i medesimi precetti diventano l’uno un corsaro degli oceani l’altro un droghiere di campagna. Cosa ha fatto la differenza? L’uomo è programmabile? Se introducessimo qualche sostanza chimica nell’embrione che si agita nella provetta potremmo trasformare un uomo-coniglio in un uomo-leone? Se applicassimo con il massimo rigore – non solo a livello di massa ma anche individuale – i programmi di rieducazione predisposti da un apposito Ministero della Cultura Popolare potremmo condizionare gli atteggiamenti mentali, esistenziali, sentimentali dei nostri concittadini? Potremmo radunarli in grandi città, come topi in un’enorme scatola, farli ballare un po’, contenere, prevenire o persino sradicare il dissenso, garantire l’ordine, la spontanea obbedienza, il conformarsi (semi) volontario alla volontà di un’autorità regolatrice suprema? Oppure ci sarà sempre, nonostante tutti gli sforzi, qualche ribelle, qualche rompiscatole che non si adatta, che non ci sta, che cerca di infilare grani di sabbia negli oliati ingranaggi di queste immense macchine sociali destinate a preservare il mondo da conflitti potenzialmente dirompenti? Perchè ogni mille uomini che vanno nella stessa direzione ce n’è sempre uno che cerca di andare controcorrente? Come si producono i ribelli, i Tommaso Moro, le Aquile Randagie?

Risposta alla domanda prima: l’uomo è davvero uno strano animale. Per quanto si cerchi di addestrarlo, renderlo mansueto, sterilizzarlo c’è sempre il rischio che alla fine faccia qualcosa di testa sua, di imprevedibile, di inatteso. Magari sta trent’anni ingiustamente in una prigione e quando esce diventa Presidente e parla di riconciliazione. Vedi alla voce Sud Africa, Nelson Mandela.

Poi c’è il problema del contagio: un semplice gesto di coraggio vale più di cento ore di indottrinamento sull’importanza del rispetto e del timore reverenziale. L’anonimo studente di Piazza Tienammen, Jan Palach, Padre Kolbe, Salvo d’Acquisto: gente di questo tipo è capace di far passare una scossa elettrica nella schiena dell’umanità intera. Ed improvvisamente, quando ormai più non te lo aspetti, trovi ancora gente che rialza la testa, fissa negli occhi, lancia una sfida.

Io vorrei essere di quelli.

Uguaglianze

Domanda seconda: Siamo uguali? Siamo diversi? Cosa fa la differenza tra gli uomini? I capelli biondi anziché bruni? Il colore della pelle anziché degli occhi? Essere nato ricco o poveraccio? Venerare Che Guevara o Santa Teresina del Bambin Gesù? Scusate, ma sono dettagli. Tanto più oggi che non ci facciamo problemi a definirci al tempo stesso italiani, cittadini europei, cristiani, vegetariani, tifosi del Milan (a parte il nostro Direttore che è interista), scout dell’agesci, pacifisti, bird watcher, appassionati di jazz, giuristi e astrologi.

Ognuna di queste caratteristiche potrebbe definire la nostra identità, oppure farlo tutte insieme sia pur sapendo che alcune di esse potrebbero anche cambiare nel tempo. Dunque la cultura incide sulla nostra identità? Quanto conta l’idea che noi abbiamo di noi stessi? Quanto conta l’idea che ne hanno gli altri? Quanto pesa il gruppo sociale a cui apparteniamo? Possiamo parlare di identità al di fuori di un contesto sociale? Robinson Crusoe sulla sua isoletta si poneva il problema della propria identità o il dubbio gli è nato solo il giorno in cui è arrivato Venerdì (“questo tizio è diverso da me, io sono diverso da lui”)? Certo le differenze sono importanti, la cultura è importante, la civiltà è importante. Ma alla fin fine, cercando il succo del succo di questo discorso, quando è scesa la notte entrambi avevano freddo, entrambi provavano la stessa fame, la stessa nostalgia delle persone amate, entrambi forse hanno avuto la stessa paura. Durante la prima Guerra Mondiale, sul fronte, nel fango della trincea, soldati di eserciti contrapposti, dimentichi delle sbornie ideologiche, della propaganda e persino delle punte delle baionette che attendevano i disertori hanno fraternizzato fra di loro scoprendosi nella sofferenza più simili che diversi, più amici che nemici.

Risposta alla domanda seconda: le differenze culturali sono la ricchezza dell’umanità ma se ci mettiamo alla ricerca dell’essenziale dobbiamo convenire che gli tutti gli uomini devono dare delle risposte alle medesime domande. In questa ricerca la cultura talvolta conta assai poco. Padre Cristoforo e Don Abbondio erano entrambi due preti cattolici e abitavano in Lombardia ma erano fatti di una pasta diversa. La natura degli uomini si rivela nell’azione. Qualunque sia il colore della pelle o la lingua che parla. Se fuggo davanti al nemico, se tradisco i compagni sarò considerato un vile e un codardo in Perù come in Cina, in Svezia come in Ciad. Il coraggio, la generosità, la nobiltà d’animo sono valori universali.

Cambiamenti

Domanda terza: l’uomo può cambiare? Può un vigliacco divenire coraggioso? La scienza ci spiega che alcune caratteristiche identitarie vengono acquisite per sempre fin dal terzo anno di età. Dopodiché sembrerebbe che non ci sia più niente da fare.

Jorge Luis Borges (che ha saputo raccontare anche quello che la scienza non sa ancora immaginare) riferisce della vita di Pedro Damian, un giovane gaucho argentino che aveva combattuto a Masoller nel 1904 contro gli Uruguaiani. Dopo alcune sparatorie “in cui si era comportato da uomo” se la diede a gambe rendendosi conto che cinquemila uomini si erano coalizzati per ucciderlo. Tornato a casa vive il resto della sua vita nel rimorso e nella vergogna. Semplice tosatore di pecore rivive mille volte nel cuore e nella mente gli attimi della battaglia che avevano rivelato la sua natura di codardo. Non accetta la definitività di quella sentenza. Implora il destino o il buon Dio di concedergli una seconda occasione, trascorre la vita nel tentativo di correggere dentro di sé quella vergognosa debolezza. A distanza di quarant’anni, nell’ora della morte rivive ancora una volta la battaglia. Nel delirio ritrova la polvere degli spari, la furia dei cavalli, raccoglie la bandiera e avanza di corsa senza tremare verso cinquemila lance che puntano al suo petto. Questa morte coraggiosa ottiene l’effetto miracoloso di cambiare a ritroso la storia. Nessuno più ricorderà il vecchio pastore codardo Pedro Damian ma tutti, persino i compagni d’arme, ricorderanno il coraggioso gaucho Pedro Damian, morto a vent’anni nella carica di Masoller.

Se miracoli di questo genere fossero per tutti, ritengo che molti di noi ne approfitterebbero per cambiare alcuni fatti del passato in cui non ci siamo comportati come avremmo voluto.

Ahimè il passato è passato e più non torna. Il futuro però è tutto nostro e non vedo ragioni per le quali anche chi si è dimostrato codardo, egoista, superficiale non possa provare di essere coraggioso, generoso, profondo. La vita è un campo immenso di possibilità e io credo fermamente nella possibilità che gli uomini, tutti gli uomini hanno di cambiare (in meglio e – purtroppo – qualche volta anche in peggio).

Solo, con lo zaino sulle spalle, risalgo il sentiero della Val Codera. Qui tutto mi parla di uomini coraggiosi, audaci, di gente che ha vissuto grandi ideali, negli occhi la purezza del cielo. Solo, nel deserto, mi incammino verso un lontanissimo arbusto che forse tra un’ora mi regalerà un po’ di frescura. Ho caldo, mi sento disidratato. Un compagno di strada mi passa una borraccia. Questi, luoghi, questi gesti, questi incontri mutano qualcosa di profondo in me. Ripenso ad alcuni fatti centrali della mia vita scout, al giorno in cui feci la Promessa, al mio primo Hike, a quando diedi la Partenza ai miei Rover…

Ripenso a uomini e a donne che con la loro testimonianza hanno segnato non solo il mio cammino ma anche il modo con il quale penso a me stesso, al mio compito su questa terra, al mio destino. Senza di loro sarei una persona diversa e, non ho paura di dirlo, sicuramente peggiore. L’educazione ci cambia, l’amore ci cambia, la vita ci cambia. Ma non in superficie, bensì nel profondo. Anche la morte ci cambia, quella dei nostri amici, delle persone a cui vogliamo bene. Lascia in noi un segno non rimarginabile: una ferita da cui far nascere nuovi germogli o un solco in cui rinchiuderci per sempre. La nostra morte ci cambia: il suo pensiero, la sua ineluttabilità ci costringe a considerare che tipo di uomini vogliamo diventare. E se quel gran giorno, avessimo anche gli occhi pieni di lacrime, sapremo stare diritti e sorridere e portare un cesto pieno di azioni nobili e generose (insieme forse anche a qualche cosa che non vorremmo tra i nostri frutti), allora si potrà dire abbiamo vissuto bene e che la nostra vita è stata quella di uomini coraggiosi. E se anche la nostra pasta fosse più quella di Don Abbondio che di Padre Cristoforo ricordiamoci delle parole di Santa Teresa di Lisieux (che anche Che Guevara avrebbe fatto volentieri proprie): “Non importa se avete coraggio, basta che vi comportiate come se ne aveste”. In definitiva, è solo questo ciò di cui m’ importa.

Le qualità dell’uomo
Alex Zanardi, un grande campione esempio di perseveranza e coraggio nonostante gli incidenti e la sfortuna

Nel libro: la quarta traccia

Elenco dei capitoli

Ciò che solo m’importa (p. 174)

Germogli (p. 175)

Uguaglianze (p. 176)

Cambiamenti (178)

A come coraggio (p. 181)

La mia Bestia d’ombra (p. 188)

La disperazione è seduta su una panchina (di Jacques Prevert) (p. 190)

Figlio di una stella minore (p.192)

Il coraggio di Antigone (p. 196)

Il fondamento dei diritti dell’uomo (p.198)

Trasgressione e consapevolezza (p. 199)

Amore, lotta libertà (p. 201)

L’arte di scegliere (p. 203) di F. Kafka

Libertà: esercizi (p. 205)

Libertà (Paul Eluard) (p. 2069

Serendipity: l’arte di scoprire delle cose cercandone altre (p. 208)

Strade di coraggio (di M.Lodi e M. Costantini)

Coerenza virtù degli antipatici

La bellezza che salva (p.216)

Quando comincia la luce (p. 217)

CERCATORI DI BELLEZZA

Pere Duval, vagabondo che giocava con la luna (p. 218)

Padre Davide Turoldo (P.219)

Romilda del Pra (p. 220)

E’ sera Sivigia (p. 223)

Vittorio Ghetti (p.223)

Chiara Biscaretti (p.225)

Don Francesco Cassol (p.226)

Nomadi con gli occhi verso il cielo (di. F. Cassol) (p. 228)

A mio fratello (di F.Merton ) (p. 229)

 

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