
diversità


Il problema con cui viviamo…
“Il tuo Cristo è giudeo.
La Tua macchina è giapponese.
La tua pizza è italiana,
il tuo couscous è algerino.
La tua democrazia è greca.
Il tuo caffè è brasiliano,
il tuo orologio è svizzero,
la tua camicia è indiana,
la tua radio è coreana,
le tue vacanze sono turche, tunisine o marocchine,
la tua scrittura è latina.
E tu… rimproveri al tuo vicino di essere straniero!”
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Berlino e Betlemme, le città del muro
Alcune teorie politiche e sociali che ambivano di poter governare e risolvere in modo definitivo i problemi e le contraddizioni della storia umana con una rigida pianificazione dell’economia e dei processi produttivi non hanno dato i risultati che i loro promotori speravano (anzi che davano per ineluttabili) e le gigantesche sofferenze sociali ed umane che tali progetti hanno comportato hanno ben giustificato la foga con la quale, nel 1989, i berlinesi hanno abbattuto il muro.
Quel muro era il simbolo di una razionalità spietata che diventava ferocia e disumanità e nel dargli un colpo di piccone tutti noi ci siamo sentiti orgogliosi e consapevoli del significato della famosa frase di John Kennedy “Ich bin Berliner” (io sono un berlinese)(). Abbattere quel muro, essere dunque berlinesi ha significato per molti affermare in qualche modo la volontà di abbattere tutti i muri di odio nel mondo ().
Il nostro tempo è però caratterizzato anche da fallimenti, da promesse mancate della scienza e della tecnologia (lo Shuttle che esplode, l’incapacità di curare vecchie e nuove malattie) crisi economiche che gettano senza preavviso nella miseria intere popolazioni.
Dietro ragionamenti apparentemente lucidi si nasconde spesso qualche follia (il terrorismo, ad esempio). Sempre più spesso si possono ascoltare persone apparentemente di buon senso che con ricche e dotte argomentazioni vi spiegano che per risolvere i problemi della vita l’unica soluzione è …..la morte ().
E’ stato detto che il sonno della ragione genera mostri. Ma anche la ragione senza sentimenti, amicizia, affetti, solidarietà, comprensione, tolleranza può diventare disumana. Non a caso la ghigliottina non ha mai lavorato tanto come nell’epoca dei lumi.
Ma se la razionalità pura (quella con la “R” maiuscola, assoluta, scientifica, inflessibile, inflessibilmente programmatice, che non vede né uomo né Dio al di fuori di se stessa), il Pensiero Unico, la Dea Ragione, portano alle visioni rigidamente ideologiche, alle teorie disumanizzanti, alle pratiche dei campi di concentramento, ai ghetti di Soweto nei pressi Johannesburg, in altre parole alla catastrofe della torre () non per questo dobbiamo rassegnarci alla mancanza di ragionevolezza nel nostro agire.
La capacità di riflettere, di dubitare, di mettere in discussione le cose che abbiamo imparato, in altre parole la capacità di ragionare sono un patrimonio e un valore che ciascuno porta con sé e che ci differenziano da qualunque altro animale. Descartes ha affermato “Cogito ergo sum” (penso dunque sono) affermazione piuttosto radicale ma che mi sentirei di sottoscrivere se essa significasse anche: “poiché sono un uomo, sono in grado (devo, ho la responsabilità ) di ragionare”.
Guardiamo quindi al mondo con curiosità critica, con simpatia, desiderosi di comprendere ma non di farci incantare, con la libertà interiore di chi sa farsi stupire ma non intende lasciarsi ipnotizzare.
Per chi ha voglia di approfondire:
La libertà nell’educazione e la formazione di una propria coscienza
Non sono stati solo i sistemi totalitari caduti col muro di Berlino a cercare di imbrigliare il cuore e le menti delle persone e delle generazioni più giovani in particolare. Il rischio è immanente in tutti i sistemi, anche quelli formalmente più democratici e liberali. Infatti le relazioni di potere sono spesso invisibili, sono costruite sul senso di colpa che spesso viene spacciato per senso del dovere. I sistemi educativi, in particolare, sono stati spesso lo strumento attraverso i quali si è cercato di uniformare il modo di pensare e di agire delle persone rendendoli null’altro che another brick in the wall, un altro mattone nel muro…
Dobbiamo ringraziare i Pink Floyd per una magnifica canzone e un video che valgono sull’argomento più di mille parole.
Another Brick in the Wall
Avete altri film o libri da suggerire? avete voglia di scrivere dei commenti o delle recensioni? Avete delle canzoni, delle poesie, dei racconti che volete condividere? Fatecelo sapere!

La torre di Babele
Mentre scrivo queste righe Baghdad è sotto il bombardamento intensivo delle forze angloamericane. Giungono immagini atroci di violenze, mutilazioni, saccheggi. Sui giornali, in televisione, per strada fra la gente comune divampano le polemiche, la propaganda, la disinformazione, i contrasti fra esponenti di opposte visioni sul tema della forza e della pace, della legalità, della giustizia, dei rapporti tra occidente e oriente, tra Islam e Cristianesimo.
Baghdad, che un tempo fu Babele, non è solo un fatto di cronaca. E’ ancora una volta una metafora, un simbolo della nostra condizione di uomini all’inizio del terzo millennio: uomini che lottano fra di loro, che parlano lingue (culture, religioni, aspirazioni) diverse, che cercando di costruire un nuovo ordine (una grande torre) pongono le premesse per un nuovo crollo.
Il libro della Genesi racconta della costruzione della città e della torre di Babele che gli uomini vollero costruire subito dopo il diluvio universale: essa avrebbe dovuto essere così alta che la sua cima doveva toccare il cielo. Lo scopo di questa impresa non era solo quello di salvare gli uomini da un nuovo diluvio ma anche quello di “darsi un nome e di non disperdersi su tutta la terra“. Al Signore non piacque questo progetto e decise di confondere la loro lingua perché non si comprendessero. Ciò avvenne, essi si dispersero e cessarono di costruire la città.
Questo racconto, benché assai noto, è in parte assai sconcertante e misterioso. Non è chiaro, ad esempio, perché la torre dovesse toccare il cielo; non è chiaro perché il Buon Dio vedesse con tanto sfavore un’opera tutto sommato meritoria; non è chiaro perché Egli decida di disperdere gli uomini sulla terra.
A tutte queste domande ha tentato di dare una risposta il celebre pittore fiammingo Peter Bruegel autore del famoso dipinto “La grande torre di Babele“. Nell’interpretazione medievale della Bibbia la leggenda di Babele stava sostanzialmente a significare la punizione divina per un atto di orgoglio insensato e di superbia. Bruegel mostra da un lato che l’impresa grandiosa è concretamente possibile; in pari tempo ne evidenzia l’impossibilità.
La torre di Bruegel appare infatti a prima vista estremamente solida: la base su cui poggia è larga, una formazione rocciosa ne costituisce il nucleo le cui dimensioni ciclopiche fanno apparire al confronto minuscole le case della città circostante e con il brulichio di innumerevoli piccole figure.
Ad uno sguardo più attento salta agli occhi non soltanto la mancanza di metodo con cui procedono i lavori (la compresenza di parti già finite e ancora incomplete alla base) ma anche la irrealizzabilità del progetto. Bruegel trae ispirazione dalla forma e dall’idea costruttiva del Colosseo di Roma (il teatro delle persecuzioni dei cristiani) presentando però la proiezione della costruzione rivolta verso l’interno. Così i corridoi ascendenti conducono tutti verso il centro della torre, rivelandosi insensati nella loro funzione.
A ciò si aggiunge un’ulteriore incongruenza costruttiva: la suddivisione in piani nei corridoi radiali contrasta con la struttura ascendente a chiocciola del manto. Tutte le verticali sono in relazione con le linee apparentemente orizzontali della rampa, per cui la torre pende.
La costruzione è descritta, dunque, di proposito come impossibile e quindi interminabile ma il segreto si svela soltanto a poco a poco perché l’osservatore è ingannato in un primo momento dai molti dettagli razionali che ispirano fiducia perché si rifanno ai modelli romani. Il dipinto di Bruegel va al di là della sua originaria simbologia della superbia umana e si fa simbolo del fallimento della mera razionalità.
Il sentimento di sgomento e di disorientamento di fronte ai grandi progetti, alle città ideali eppure invivibili, ai sistemi totalizzanti e totalitari non appartiene solo al passato e molti artisti moderni hanno scelto proprio la torre di Babele per esprimere il senso di insostenibilità che tali sistemi hanno sulle nostre vite. Eppure nuove costruzioni e nuovi agglomerati si affastellano continuamente dinanzi a noi. E’ davvero impossibile costruire una città a misura d’uomo?
- Metropolis, Fritz Lang, 1927
- Jules Van Paemel, 2012
- Du Zenzjum, 2012
- Greg Bridges, 2000
- Kuehne & Klein, 2012
- Julee Holcombe, 2012
- Nils Ole-Lund, 1990
- Salvador Dalì
- Cornelis Anthonisz, 1547
- Tobias Verhaecht
- Goran Hassanpour, 2011
- Chuck Sperry